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Sfide vinte in vetta: l’architettura (della luce) è avventura

Il progetto per il Rifugio al Sasso Nero, in Val Aurina, disegnato dallo studio Stifter+Bachmann, visto dalle finestre: ecco le soluzioni concrete sviluppate per arrivare in vetta ed ecco come resistono alle temperature rigide, all’irraggiamento dei tremila metri di altitudine e ai venti fino a 100 km/h

Una sfida in vetta: come costruire un rifugio a 3.026 metri di altitudine non solo proponendo una geometria capace di integrarsi nel paesaggio alpino, ma anche offrendo un ambiente confortevole, luminoso e accogliente? A raccogliere la sfida e riuscire nell’obiettivo è stato lo studio bolzanino Stifter+Bahmann, che ha portato in Val Aurina, nello specifico a San Giovanni, un esempio di architettura d’avanguardia, tanto per le sue linee scultoree quanto – e soprattutto – per la capacità di superare severi ostacoli costruttivi.

Ispirato nelle sue forme alla cime di una roccia e rivestito di una pelle metallica in rame dalle sfumature bruno-rossastre cangianti fra il lucido e l’opaco, il Rifugio al Sasso Nero si staglia sulla vetta presentandosi come un nuovo punto di riferimento per escursionisti e appassionati di alpinismo.

Per riassumere e spiegare con efficacia l’intero percorso architettonico – fra le difficoltà legate al cantiere in vetta e le soluzioni trovate per raggiungerlo – si può far riferimento a una sua singola parte, eloquente tanto da diventare emblema del progetto: le finestre sul tetto.

Il tetto del Rifugio Al Sasso Nero ospita infatti 27 finestre VELUX GGL Performance; sono state scelte per portare luce e ventilazione naturali negli ambienti che ospitano i 50 posti letto del piano della struttura dedicato all’ospitalità, rendendoli non solo particolarmente accoglienti – grazie anche alla vista spettacolare sulle catene montuose – ma salubri, luminosi e confortevoli durante tutto l’anno.



Se il primo ostacolo per l’installazione delle finestre – superato attraverso un’adeguata progettazione – è dipeso dalla geometria delle facciate inclinate, dove le pendenze sono anche superiori agli 80°, la seconda tappa ha dovuto superare difficoltà ancora maggiori, legate alle modalità di trasporto e all’adeguamento di sistemi e materiali a condizioni atmosferiche di pressione e temperatura eccezionali e variabili in funzione dell’altitudine.

Ed è così che un impianto temporaneo di funi ha permesso ai materiali di raggiungere il cantiere, mentre gli operai specializzati arrivavano in elicottero, e un sistema di equalizzazione delle finestre le ha protette per garantirne l’efficienza durante il loro ciclo di vita. Come? Dato il rischio di scoppio dei vetri durante il trasporto per gli sbalzi di pressione, i vetri sono stati estratti dai telai per permettere la compensazione del gas interno alla camera durante la salita; un’operazione ripetuta in tre fasi; a quota 1.000 m, a 2.100 m e, infine, a 3.026 m, dove poi i vetri sono stati ricollocati nei telai e installati.

Un racconto avventuroso a lieto fine: oggi l’involucro del Rifugio Al Sasso Nero è un esempio concreto di come si può costruire in vetta garantendo non solo la definizione di ambienti di grande impatto e altrettanto comfort, ma anche la possibilità di poter usare sistemi e materiali evoluti ed efficienti, capaci di partecipare in modo attivo anche in termini di isolamento termico. Le finestre VELUX, infatti, proteggono dall’elevatissima radiazione solare, dalle temperature rigide, dalle differenze di pressione e dai venti che raggiungono anche i 100km/h.

Ma com’è possibile installare finestre per tetti a oltre 3.000 metri di altitudine, non c’è il rischio di infiltrazioni? No!

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